Anche l’ambiente di lavoro in cui la 2Dto6D opera è pervaso da un analfabetismo funzionale che potremmo definire “di settore” e, quindi, “analfabetismo BIM”. Che cosa intendiamo è meglio spiegato di seguito, con vari esempi e un invito alla riflessione.
Risale a qualche anno fa l’ultimo rapporto PIAAC-OCSE, secondo cui in Italia circa il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Un dato che, considerando l’Europa, vede il nostro Bel Paese secondo in classifica alle spalle solo della Turchia. Ma soprattutto un dato che, in attesa del programmato aggiornamento con una nuova indagine nel 2024, desta preoccupazione e dà adito a riflessioni per quanto quotidianamente si vive anche nell’ambiente professionale da noi frequentato.
Nel mondo del Building Information Modeling, nelle attività condotte con e in studi di progettazione, società di costruzioni, pubbliche amministrazioni e grandi marchi, l’analfabetismo funzionale si riflette non raramente in quello che potremmo definire “analfabetismo BIM”.
Alcune terminologie come BEP (Bim Execution Plan) e pGI (piano di Gestione Informativa), insieme a concetti su LOD (Level of Development) e oGI (offerta di Gestione Informativa), ormai conosciuti come acronimi, sono invece abusati senza alcuna capacità di elaborazione, applicandoli al campo delle costruzioni e della progettazione.
Infatti, così come “analfabetismo funzionale” non vuol dire non saper leggere o far di conto, ma bensì non riuscire ad utilizzare in modo opportuno e pratico tali capacità, “analfabetismo BIM” non indica non sapere il significato di progettare; vuol dire, invece, avere una percezione profondamente distorta degli acronimi indicati appena sopra.
Ad esempio, il BEP e il pGI vengono somministrati temporalmente in maniera sbagliata, mai definiti correttamente, non sottoscritti all’inizio dei lavori o addirittura modificati radicalmente nel corso dei servizi per essere utilizzati soprattutto nella fase finale dalle entità economicamente di dimensione rilevante come elemento ricattatorio. Pratica comune in Italia: ti contesto il lavoro così non ti pago o ti pago molto meno!
E, così, strumenti quali BEP e pGI che servono per dare delle “indicazioni” su come eseguire una consegna BIM, vengono bistrattati in molti modi. Vediamone alcuni:
- non si rispettano i prerequisiti richiesti per un corretto sviluppo del modello BIM;
- si pretendono tempi di consegna troppo stretti, senza comprendere che lo scopo di usare strumenti BIM non è solo il velocizzare il processo;
- il materiale di partenza CAD o i rilievi risultano assolutamente incongruenti ed inattendibili al tipo di restituzione;
- si procede con la semplificazione di alcune sezioni essenziali per ignoranza totale sull’argomento (il che, purtroppo, avviene anche in realtà pubbliche o di dimensioni rilevanti);
- vi è una mancanza di sensibilità sul workflow.
Per non parlare del LOD, utilizzato in maniera impropria. Ecco qualche caso:
- si richiedono sempre più dettagli grafici ed informativi in maniera inadeguata, anche in fase di progetto preliminare;
- dove prima si chiedeva un LOD 300 ora si richiede un 350, 400 o 500, solo perché il numero è più grande, senza aver alcuna conoscenza di cosa indichi, di quale sia lo standard a cui faccia riferimento, o senza ulteriormente specificare le infinite sfumature che si possono correttamente e criticamente sviluppare;
- si ha un over modeling o – se si preferisce – una ricerca di un dettaglio grafico assolutamente lontana da un concetto di efficienza che il modello BIM deve avere: l’importante pare essere poter zoomare o avere un rendering in tempo reale adeguatamente soddisfacente come resa grafica.
Per quanto riguarda l’oGI, poi, molte strutture non hanno la capacità di valutare la preparazione e le conoscenze dei soggetti che fanno parte del processo. E quindi:
- uno strumento come la certificazione viene utilizzato come unica discriminante per l’incapacità di chi, nel reparto HR, deve valutare la squadra da comporre per la consegna;
- si assiste ad una incapacità di capire la validità dei corsi proposti in Italia sul BIM in contrapposizione ad una mercificazione dei crediti formativi professionali;
- ci si definisce BIM Manager senza una adeguato numero di progetti BIM sviluppati.
Inoltre, molti soggetti non hanno ben compreso che il processo di implementazione BIM è una trasformazione temporalmente non immediata, in cui sono necessari mesi e non giorni per iniziare ad acquisire consapevolezza e quantomeno cominciare a poter discutere delle sfumature infinite che il Building Information Modeling può aprire in ogni disciplina.
Per quanto concerne gli strumenti nel processo BIM, si sottolinea l’incomprensione tra l’uso di un software di authoring BIM come Revit rispetto alle precedenti piattaforme CAD 2D o di modellazione 3D. Inoltre, manca il corretto uso di piattaforme che possano definire un ACDat o CDE (Common Data Environment) moderno e condiviso rispetto ad una base dati salvata su un disco rigido in locale o al massimo in un Dropbox.
Quindi, una incomprensione generale dove appare importante esclusivamente che sia 3D e che ci sia un video; poi, quanto pesa e se quello che è stato modellato serve effettivamente resta qualcosa di inessenziale.
Come 2Dto6D da sempre insistiamo a divulgare una metodologia di sviluppo del processo BIM il più possibile aderente alle best practice, continuando a credere che trasmettere i giusti valori professionali ed umani direttamente e tramite il network di professionisti e aziende, creando le metodologie corrette BIM, sia il giusto modo di affrontare questo cambiamento, restando comunque sempre pronti a metterci in gioco e confrontarci – altro valore importante – con chi ha un’opinione diversa rispetto a quella esposta e/o con chi la condivide più o meno in toto.